TRIBUNALE ORDINARIO DI BERGAMO 
                           Sezione Lavoro 
         (Ordinanza ex art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87) 
 
    Il Giudice del lavoro di  Bergamo,  dott.ssa  Monica  Bertoncini,
nella causa iscritta al n. 1786/15 R.G., sul ricorso depositato il 30
luglio 2015 nella controversia promossa da B.D. e B.E.  rappresentate
e difese dagli avvocati A. Guariso e M. Lavanna, in virtu' di mandato
a margine del ricorso introduttivo  del  giudizio,  ed  elettivamente
domiciliata in Bergamo presso  lo  studio  dei  suindicati  avvocati,
ricorrenti, contro: 
        Comune di Azzano  San  Paolo,  in  persona  del  Sindaco  pro
tempore, rappresentato e difeso dall'avv.  P.  Nozza,  in  virtu'  di
mandato  a  margine  della  memoria   difensiva,   ed   elettivamente
domiciliato in Bergamo presso  lo  studio  del  suindicato  avvocato,
convenuto; 
        INPS  -  Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale,  in
persona del direttore pro tempore, rappresentato e  difeso  dall'avv.
A.  Imparato,  per  mandato  generale  alle  liti,  ed  elettivamente
domiciliato in Bergamo, presso l'Ufficio Legale INPS. 
    Il Giudice, sciogliendo la riserva  assunta  all'udienza  del  30
settembre 2015, sul ricorso promosso ai sensi degli artt.  28  d.lgs.
150/11 e 44 d.lgs. n. 286/98, osserva quanto segue: 
    Le ricorrenti, premesso di  essere  cittadina  del  Burkina  Fasu
(quanto alla B.) e del Ghana (quanto alla B.) titolari di permesso di
soggiorno per motivi familiari, hanno dato alla luce i' figli  N.  A.
G. (quanto alla B., nato il ... ) e O. N. B. (quanto alla E., nato il
... ) ed hanno successivamente  presentato  al  Comune  di  residenza
domanda di indennita' di maternita'  ai  sensi  dell'art.  74  d.lgs.
151/01 (v. doc. 2 fasc. ricorrente). 
    Il Comune di Azzano San Paolo ha negato  la  prestazione,  stante
l'intervenuto   diniego   della   carta   di   soggiorno   e   dunque
l'insussistenza del requisito di cui all'art. 74, d.lgs.  151/01  (v.
doc. 5, 6 fasc. ricorrente). 
    Le ricorrenti  affermavano  il  carattere  discriminatorio  della
condotta tenuta dal Comune di Azzano  San  Paolo  e  la  contrarieta'
dell'art. 74 d.lgs. 151/01 a disposizioni internazionali, nella parte
in cui consente l'erogazione dell'assegno di maternita' solo a favore
degli stranieri titolari di permesso di soggiorno per soggiornanti di
lungo periodo. 
    Il  Comune  di  Azzano  San  Paolo,  costituitosi  in   giudizio,
evidenziava come la scelta legislativa operata con l'art. 74,  d.lgs.
151/01,  secondo  un'interpretazione  costituzionalmente   orientata;
risultasse razionale  e  non  discriminatoria,  non  assistita  dalla
tutela dell'art. 12 della Direttiva 2011/98/UE invocata  dalle  parti
ricorrenti. 
    L'INPS,  costituitosi  a  sua  volta  in  giudizio,   dopo   aver
preliminarmente eccepito il suo difetto  di  legittimazione  passiva,
negava la  sussistenza  della  dedotta  discriminazione,  nonche'  la
violazione di norme nazionali o sovranazionali. 
    Tutto cio' premesso, si osserva: 
        per la soluzione della controversia e' dirimente la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 74, d.lgs. n.  151/01  nella
parte  in  cui  limita   soggettivamente   l'accesso   al   beneficio
dell'assegno  di  maternita',  oltre  che  ai  cittadini  italiani  e
comunitari,  ai  soli  stranieri  soggiornanti  di   lungo   periodo,
escludendo gli stranieri in possesso di  permesso  di  soggiorno  per
motivi familiari (o per altri motivi); 
        non e' dirimente l'eccezione  di  difetto  di  legittimazione
sollevata dall'INPS atteso che l'eventuale ordine di cessazione della
condotta antidiscriminatoria spiegherebbe i  suoi  effetti  pure  nei
confronti dell'ente, tenuto al pagamento della prestazione; 
        per quanto attiene, invece, alla rilevanza della questione di
costituzionalita', occorre rilevare, innanzi tutto, come non siano in
discussione tutti gli altri  requisiti  per  l'accesso  al  beneficio
assistenziale,  essendo  controversa  solo  la   questione   relativa
all'estensione soggettiva del beneficio medesimo alla ricorrente, non
cittadina italiana, ne' comunitaria e priva di permesso di  soggiorno
di lunga durata; 
        cio' richiede  pertanto  la  valutazione  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 74, d.lgs. 151/2001 nella parte in riconosce
il beneficio ai soli cittadini italiani o comunitari o agli stranieri
titolari della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno di lunga
durata); 
        l'art. 74, comma 1, d.lgs. 151/2001 stabilisce che "per  ogni
figlio nato dal 1° gennaio 2001, o per  ogni  minore  in  affidamento
preadottivo o in adozione senza affidamento dalla stessa  data,  alle
donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o  in  possesso  di
carta di soggiorno ai sensi dell'art. 9 del  decreto  legislativo  25
luglio 1998, n. 286, che non beneficiano dell'indennita' di cui agli,
articoli 22, 66 e 70 del presente testo unico e' concesso un  assegno
di maternita'"; 
        secondo il 4° comma della citata disposizione, "l'assegno  di
maternita' di cui al comma 1, nonche' l'integrazione di cui al  comma
6, spetta qualora il nucleo familiare  di  appartenenza  della  madre
risulti in possesso di risorse economiche  non  superiori  ai  valori
dell'indicatore della situazione economica (ISE), di cui  al  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 109, tabella 1, pari a lire 50  milioni
annue con riferimento a nuclei familiari con tre componenti"; 
      le ricorrenti sono residenti in Italia  e  legalmente  presente
sul territorio nazionale in  virtu'  di  permesso  di  soggiorno  per
motivi familiari, mentre  i  mariti  ed  i  figli  sono  titolari  di
permesso di soggiorno per lungosoggiornanti, cio' quindi da' conto di
una presenza in Italia non avente carattere episodico; 
        l'art. 14 della Convenzione  Europea  dei  diritti  dell'uomo
(CEDU) firmata a Roma il 4 novembre 1950 sancisce che  "il  godimento
dei diritti e delle liberta' riconosciuti nella presente  Convenzione
deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in  particolare
quelle fondate  sul  sesso,  la  razza,  il  colore,  la  lingua,  la
religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere,  l'origine
nazionale o sociale, l'appartenenza a  una  minoranza  nazionale,  la
ricchezza, la nascita od ogni altra condizione"; 
        la giurisprudenza della Corte europea dei  diritti  dell'uomo
ha reiteratamente affermato che tra i diritti  patrimoniali  tutelati
dall'art. l del Protocollo addizionale  I  alla  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo, si intendono anche le prestazioni
sociali,  comprese  quelle  cui  non  corrisponde  il  versamento  di
contributi, e che per tali diritti vige il divieto di discriminazione
di cui all'art. 14 della Convenzione (in tal senso,  con  riferimento
all'assegno di invalidita' civile cfr. sentenza 26 febbraio  1993  in
causa  Salesi/Italia;  sentenza  30  settembre  2003  in  causa  Koua
Poirrez/ Francia nella quale  si  stabilisce  il  principio  per  cui
"l'assegno per minorati adulti previsto dalla  legislazione  francese
e' un diritto patrimoniale ai sensi dell'art. 1 del Protocollo I e di
conseguenza soggiace al divieto di discriminazione sancito  dall'art.
14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo"); 
        deve quindi ritenersi che l'art. 14 della CEDU e l'art. l del
relativo  Protocollo  addizionale,  secondo  l'interpretazione  della
Corte europea per la tutela  dei  diritti  dell'uomo,  obblighino  lo
Stato italiano a legiferare in materia di prestazioni sociali,  anche
non contributive, senza porre alcuna discriminazione in ragione della
nazionalita' delle persone. Discriminazione che ricorre ogniqualvolta
un  dato  trattamento  non  trovi  una  giustificazione  oggettiva  e
ragionevole, non realizzando un rapporto di  proporzionalita'  tra  i
mezzi impiegati e l'obiettivo  perseguito  (cfr.  Niedzwiecki  contro
Germania, sentenza del 25 ottobre 2005); 
        l'art. 74, d.lgs. 151/2001, ponendo  come  requisito  per  la
fruizione dell'assegno di maternita' il possesso  della  cittadinanza
italiana o l'essere titolare di carta di soggiorno (ora  permesso  CE
per lungo soggiorno), ha portata  restrittiva  e  non  manifestamente
ragionevole, introducendo un trattamento  differenziato  basato  solo
sul dato temporale di  durata  della  residenza  rispetto  ad  alcune
categorie   di   stranieri   extracomunitari,   senza   prendere   in
considerazione  la  condizione  di  grave   bisogno   della   persona
soggiornante,  legalmente  autorizzata,  che  puo'  versare  in   una
oggettiva situazione di debolezza economica, tale da non  consentirle
di poter adeguatamente provvedere  al  sostentamento  proprio  e  del
figlio; 
        la  Corte  Costituzionale  ha  piu'  volte  evidenziato  tale
esigenza di tutela (cfr. sent. 29-30 luglio 2008,  n.  306,  relativa
all'indennita' di accompagnamento; sent. 14-23 gennaio 2009,  n.  11,
relativa alla pensione di inabilita'; sent. n.  187/2010  riguardante
l'assegno mensile di invalidita'; sent. n. 329 del  2011  concernente
la indennita' di frequenza, sent. n. 22 del 27 gennaio  2015  per  le
pensioni ai ciechi civili), ribadendola,  da  ultimo,  nell'affermare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19 della legge n.
388/2000  nella  parte  in  cui  subordinava   al   requisito   della
titolarita' della carta di soggiorno la  concessione  agli  stranieri
legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione  di
cui all'art. 8 della legge 10 febbraio 1962, n. 66 e  dell'indennita'
di cui all'art. 3, comma l, della legge  21  novembre  1988,  n.  508
(cfr. sent. n. 22 del 27 gennaio 2015); 
        con tale sentenza  la  Corte,  richiamando  proprie  analoghe
precedenti pronunce,  ha  ribadito  come  "qualsiasi  discrimine  fra
cittadini e stranieri legalmente soggiornanti  nel  territorio  dello
Stato, fondato  su  requisiti  diversi  da  quelli  previsti  per  la
generalita' dei soggetti, finisce per risultare in contrasto  con  il
principio di non discriminazione di cui all'art. 14 della  CEDO,  per
come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo"; 
        principi  che   devono   trovare   applicazione   anche   con
riferimento alle misure assistenziali, ovvero "a benefici  rivolti  a
soggetti in gravi condizioni  di  salute,  portatori  di  impedimenti
fortemente invalidanti, la cui tutela implicava il coinvolgimento  di
una serie  di  valori  di  essenziale  risalto  e  tutti  di  rilievo
costituzionale, a cominciare da quello della solidarieta',  enunciato
all'art. 2 Cost." (cfr. sent. n. 22 del 27 gennaio 2015); 
        tali principi debbono essere riaffermati pure con riferimento
all'indennita' di maternita', trattandosi di beneficio a  tutela  dei
bisogni di  un  minore,  nell'ambito  di  un  contesto  familiare  di
difficolta' economica, per cui non v'e' dubbio che si tratti  di  una
prestazione diretta a soddisfare bisogni primari della persona che e'
compito dello Stato tutelare e salvaguardare; 
        il soggetto richiedente tale  beneficio,  infatti,  si  trova
generalmente in una situazione di particolare debolezza, sia  fisica,
notoriamente legata ai mesi immediatamente  successivi  alla  nascita
del figlio, sia economica, ostativa  allo  svolgimento  di  attivita'
lavorativa durante il periodo di interdizione obbligatoria,  per  cui
la prestazione e' chiaramente posta a tutela di situazioni di bisogno
rispetto a condizioni di vita minime; 
        per  tali  ragioni  appaiono  sussistere  fondati  dubbi   di
irragionevole   discriminazione   legata   solo   a   condizioni   di
appartenenza nazionale  o  comunitaria  o  di  durata  temporale  del
soggiorno, non ricorrendo, nella situazione  in  esame,  neppure  una
situazione di presenza sul territorio nazionale del tutto episodica o
di breve durata; 
        secondo l'art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998  "gli  stranieri
titolari della carta di soggiorno  o  di  permesso  di  soggiorno  di
durata non inferiore ad un anno, nonche' minori iscritti  nella  loro
carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono  equiparati
ai cittadini italiani ai fini della  fruizione  delle  provvidenze  e
delle prestazioni, anche economiche, di assistenza  sociale,  incluse
quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen  o  da
tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per  gli  invalidi
civili e per gli indigenti"; 
        l'art.   74,   d.lgs.   151/2001,   inibendo   al    soggetto
extracomunitario stabilmente e regolarmente presente  nel  territorio
nazionale, se privo di carta di soggiorno (ora permesso di  soggiorno
CE di lungo periodo a norma del d.lgs.  3  del  2007),  la  fruizione
dell'assegno di maternita', diversifica, in  violazione  dell'art.  3
della Costituzione, il  trattamento  di  situazioni  identiche  senza
alcuna giustificazione razionale; 
        la norma dell'art. 74 cit. pare pure contraria ai  valori  di
solidarieta' di cui all'art. 2 della Costituzione ed  alle  finalita'
proprie  dell'assistenza,   quali   emergono   dall'art.   38   Cost.
(estensibili anche alla persona straniera extracomunitaria) volto  ad
assicurare mezzi di sostentamento  per  la  garanzia  delle  esigenze
minime di protezione della persona; 
        l'art.  10  Cost.  rimette  al   legislatore   nazionale   la
disciplina applicabile allo straniero, ma secondo  la  giurisprudenza
costituzionale, il potere  e  la  discrezionalita'  del  legislatore,
nell'introdurre trattamenti differenziati tra cittadini  e  stranieri
(laddove non vengano in considerazione diritti inviolabili), incontra
il  limite  del  parametro   di   ragionevolezza   e   dei   principi
internazionali recepiti dall'ordinamento nazionale; 
        la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea  del  7
dicembre 2000, in tema di "sicurezza sociale e  assistenza  sociale",
stabilisce, all'art. 34, "il diritto di accesso alle  prestazioni  di
sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano  protezione  in
casi quali la maternita', (...) secondo le  modalita'  stabilite  dal
diritto dell'Unione e le legislazioni e prassi nazionali"; 
        l'art.  74,  d.lgs.  151/01,  nel  subordinare  la  fruizione
dell'assegno di maternita' alla titolarita' del permesso di soggiorno
CE di lungo periodo,  risulta  in  contrasto  pure  con  il  disposto
dell'art. 31 della Costituzione secondo cui la Repubblica protegge la
maternita'; 
        dall'esame complessivo del diritto dell'Unione europea non e'
rinvenibile  una  disposizione  normativa  munita   di   completezza,
precisione, chiarezza e assenza di condizioni, tale da consentire  di
riconoscere "il diritto all'assegno in questione anche allo straniero
soggiornante per motivi familiari, non in possesso dei requisiti  per
il conseguimento del permesso di soggiorno di lunga durata; 
        la formulazione della norma censurata e la  tassativita'  del
novero  dei  soggetti  ivi  elencati  osta  ad  una   interpretazione
adeguatrice,  considerato  peraltro  che,  sino  ad  oggi,  eventuali
estensioni dei benefici, nel settore della previdenza  ed  assistenza
sociale, sono avvenute per  effetto  di  pronunce  di  illegittimita'
costituzionale; 
        si rende quindi necessario investire la Corte  costituzionale
della questione di legittimita' costituzionale dell'art.  74,  d.lgs.
151/01 che, in virtu' delle considerazioni sopra esposte,  oltre  che
rilevante nell'ambito del giudizio instaurato dalla  ricorrente,  non
appare manifestamente infondata, posto che la norma, nel  subordinare
il diritto al  possesso  di  carta  di  soggiorno  (ora  permesso  di
soggiorno di lungo periodo) e dunque al requisito della presenza  nel
territorio dello Stato da almeno cinque anni, introduce un  requisito
idoneo a generare una irragionevole discriminazione nei confronti del
cittadino, in violazione degli artt. 14 della Convenzione  ed  1  del
Protocollo aggiuntivo, cosi' come interpretati dalla Corte  stessa  e
replicati  nell'art.  21  della  Carta   dei   diritti   fondamentali
dell'Unione europea, a sua volta richiamato dall'art. 6 del  Trattato
sull'Unione europea, dagli art. 2, 3, 10, 31, 38,  117,  primo  comma
Cost.;